L’articolo è stato scritto da Federico Fagotto. L’immagine in evidenza invece è una cartolina di Federico Duca reperita presso lo Studio Bibliografico Adige.
L’intonaco scuro e rovinato non lascia presagire un passato così ricco di storia e architettura, eppure è così, sotto quella pelle segnata dal tempo ci sono oltre cinque secoli di eventi. Stiamo parlando del Palazzo delle Poste di Trento: un luogo che ha mutato forma lasciando sempre dei frammenti per mantenere viva la memoria dei passaggi e delle trasformazioni che ha subito.
Nasce nel 1512 come palazzo Rinascimentale di una prestigiosa famiglia Trentina, la famiglia a Prato, che fa costruire uno splendido palazzo con annesso un giardino all’italiana definito tra i più belli della regione. Dopo quasi trecento anni di utilizzo nel 1830 viene venduto ad una società per azioni che lo trasforma in uno zuccherificio diventando quindi la prima manifattura collocata all’interno del centro storico di Trento.

La vita industriale di queso edificio tuttavia non è lunga, infatti nel 1845, durante i festeggiamenti per il trecentenario del Concilio, la struttura viene parzialmente distrutta da un incendio lasciandola in uno stato di stallo e abbandono per moltissimi anni. Solo nel 1888 si decise di vendere lo stabile per convertirlo nel monumentale palazzo postale asburgico, progettato dall’esperto architetto viennese Friedrich Setz.

Si arriva quindi al 1929, anno in cui si decise di renderlo il Palazzo delle poste italiano. Ad ogni mutamento di funzione corrisponde, ovviamente, un mutamento architettonico per adattarsi al tempo, perciò lo stile cinquecentesco ha prima lasciato il posto alle simmetrie e al gusto accademico viennese, per poi venire completamente sostituito dallo stile razionale di Mazzoni che trasporta un edificio ottocentesco nel futuro.

Fotografia di Federico Duca, 2020.
L’utilizzo di forme e colori rendono irriconoscibile il palazzo, che tuttavia preserva in modo scenografico ogni sua stratificazione, procedendo con un’accurata selezione delle preesistenze e orchestrando un gioco di frammenti nascosti e non. Il progettista lavora manipolando l’esistente: realizza delle colonne in mattoni per differenziarle da quelle cinquecentesche delle corte esterna, inventa delle volte che sostituiscono il soffitto a cassettoni, preserva un pezzo dell’antico muro che racchiudeva il giardino rinascimentale, tutte operazioni atte a tutelare la storia dell’opera.
Il palazzo di Angiolo Mazzoni era un simbolo architettonico che col suo intonaco “Blu Savoia” doveva essere emblema di italianità. Anche gli interni giocavano con le cromaticità e hanno dato spazio a grandi artisti futuristi di realizzare delle opere per impreziosire l’edificio; su tutte ricordiamo le tre vetrate, andate perdute, della Sala del Dopolavoro realizzate da Depero. Purtroppo nel tempo i colori si sono spenti, ma la speranza è che non vengano dimenticati e che si possa intervenire per preservare e dare una nuova vita a questo edificio, sia per la sua importanza storica, ma soprattutto perché possa diventare un bene fruibile anche dalla comunità.

Bibliografia:

- Renato Bocchi, “ Trento, interpretazione della città”, Trento, Arti Grafiche Saturnia, 1989 (pp.197-198)
- Informazioni tratte dall’articolo “Per il ritorno del colore: materiali e appunti per la programmazione del restauro di palazzo Poste a Trento riprogettato da Angiolo Mazzoni nel 1929” del Prof. Fabio Campolongo (Soprintendenza per i Beni architettonici e archeologici – Provincia autonoma di Trento)
- Lezione del 23/09/2020 sul Palazzo delle Poste tenuta dal Prof. Fabio Campolongo

L’articolo e le immagini sono protetti dal diritto d’autore, in caso di richieste, dubbi o perplessità contattaci.
L’articolo è stato impaginato da Nicolò C.