L’articolo è stato scritto da Federico Fagotto che cura la rubrica ArchiTrentino. Anche le foto contemporanee sono state curate da lui.
La storia dell’architettura è fatta principalmente di opere visibili, ma non si può dimenticare l’invisibile, ovvero le utopie e il mai realizzato; questo è il caso dell’Acropoli Alpina, un progetto mai terminato, di cui tuttavia ci sono arrivati dei frammenti.
La storia dell’architettura è fatta principalmente di opere visibili, ma non si può dimenticare l’aspetto invisibile, ovvero tutto ciò che è rimasto un’utopia e non è mai stato realizzato; questo è il caso dell’Acropoli Alpina, un progetto mai giunto a termine, di cui tuttavia ci sono arrivati dei piccoli frammenti.

Era il 1908 quando tra gli Alpini iniziò a nascere l’idea di creare un Museo che raccontasse la storia del corpo militare, idea che prese ancora più vigore dopo la Grande Guerra, quasi una necessità per ricordare le gesta e il valore dei molti uomini che avevano combattuto. Molte città si candidarono per ospitare l’edificio, ma tra tutte la prescelta per onorare questo compito fu Trento. L’ A.N.A. propose l’idea al giovane architetto Adalberto Libera che si prestò, gratuitamente, in onore della sua città nativa. Il progetto tuttavia era veramente troppo importante per affidarlo ad un unico progettista, perciò si optò di formare un team che potesse lavorare sinergicamente con Libera. Il gruppo venne ufficialmente convocato nel 1939 e ne fecero parte: Mario Cerenghini, Giancarlo Maroni, Giovanni Muzio, Silvio Zaniboni e Adalberto Libera; ogni elemento del team avevo il suo ruolo, ma erano tutti legati dal fatto di essere Alpini e/o Trentini. Il mix perfetto tra esperienza in tema di costruzioni monumentali e conoscenza del paesaggio trentino contribuì a rendere il gruppo equilibrato dal punto di vista politico e culturale.

L’area prescelta per il progetto era la sommità del Doss Trento, una scelta che richiedeva la realizzazione di un percorso stradale, ma soprattutto che richiedeva una particolare attenzione al contesto sia paesaggistico che architettonico per il connubio che si doveva instaurare con il Monumento a Cesare Battisti e con i resti archeologici della Basilica paleocristiana. Dopo diverse proposte, quella vincente risultò essere la realizzazione di un impianto rettangolare, a riprendere l’idea del castrum romano, cinto per tre lati da un grosso muro sul quale si dovevano innestare 17 torri e con il quarto lato adibito a museo vero e proprio. Venne conservata la fisionomia alberata con grandi spazi verdi e fu predisposto un accesso diretto al Mausoleo così da non minare l’austerità del luogo. Ogni componente del gruppo propose delle idee seguendo il proprio stile ed è per questo che nel 1941 fu criticato per mancanza di un’unità stilistica. Nonostante le critiche il progetto restò quello originale.

La Seconda Guerra Mondiale rallentò la fase progettuale, soprattutto per motivi economici, venne quindi nominato Muzio per redigere, una volta per tutte, il progetto esecutivo e venne stabilita la scadenza per presentare il progetto: 15 ottobre 1943. Gli eventi della Guerra posero fine al progetto, di cui tuttavia restano diversi disegni preparatori che ci permettono di immaginare come sarebbe diventata l’opera architettonica una volta ultimata. Unici frammenti realizzati di questo iter progettuale sono la strada che consente ancora oggi di raggiungere la cima, ma soprattutto la Cappella votiva di Santa Barbara che possiamo definire come la prima vera e unica opera architettonica dell’Acropoli, progettata da Maroni con le sculture di Zaniboni in pietra rossa di Trento.





Federico Fagotto, 2020 ©
Bibliografia:
- Fulvio Irace (a cura di), “L’architetto del lago Giancarlo Maroni e il Garda”, Milano, Electa, 1993 (pp. 85-93). 2)
- Gabriella Belli, “Adalberto Libera: opera completa”, Milano, Electa, 1989 (p.171)
Questa puntata è disponibile nel formato podcast con la voce dell’autore di questo articolo su Sanbaradio.
